Si racconta che un terribile drago infestasse le acque di un lago e che, per tenerlo a bada, la popolazione gli offrisse quotidianamente una vittima estratta a sorte tra i giovani del luogo. Un giorno toccò alla figlia del re. La giustizia allora era uguale per tutti e nulla poté il sovrano contro il destino infausto. Recatisi quindi, vittima e familiari piangenti, sulle rive del lago, grande fu la loro meraviglia quando videro giungere al galoppo un cavaliere che a colpi di spada domò il terribile drago, tanto che fu possibile portarlo al guinzaglio tra le mura e tenerlo come animale domestico.
Il cavaliere San Giorgio annunciò alla popolazione di aver vinto il feroce mostro nel nome di Cristo affinché tutti, col battesimo, abbracciassero la fede cristiana.
Questa la leggenda. La realtà è più cruda e senza lieto fine: il martirio di San Giorgio. Nel 4° secolo rifiutare un sacrificio agli dei significava condannarsi a morte: a Lidda, in Palestina, Giorgio rifiutò, deciso a non tradire Cristo e, prima di morire decapitato da un colpo di spada, sopportò con forza e serenità i più atroci tormenti.
San Giorgio è chiamato dalla Chiesa d’Oriente “Il Grande Martire” ed è patrono non soltanto di Genova, ma di innumerevoli città e paesi in Italia, Spagna, Portogallo e Inghilterra. Nell’iconografia tradizionale, è rappresentato nell’atto di trafiggere il drago-serpente dall’alto del cavallo, con indosso una corazza a squame ed un mantello svolazzante.
Nell’affresco l’iscrizione è appena visibile e il pannello è rovinato nella parte superiore destra; manca anche parte della testa del santo.