La Cripta di Santa Maria degli Angeli a Poggiardo è, con la Cappella della Madonna della Grotta e con la vicina Chiesa dei S. Stefani a Vaste, una delle suggestive chiese-cripte ipogee che caratterizzano l’area di terra salentina attorno a Otranto. Posta “all’estremità dello stretto che divide il mar di Siria (Mediterraneo) dal mare dei veneziani (Adriatico)”, la città di Otranto diede il nome alla terra dell’estremo Sud, conosciuta, nel corso dei secoli, come Terra d’Otranto. Terra che a partire dal V secolo gravitò attorno a Costantinopoli e, a livello religioso e culturale, ricevette da questa lingua, liturgia, spiritualità, arte e letteratura. In questo periodo si sviluppò il monachesimo eremitico iniziato in Oriente con Antonio nel 270 e sfociato, poi, nell’eremitismo monastico comunitario la cui regola fu codificata nel IV secolo da San Basilio il Grande (330 – 379), vescovo di Cesarea di Cappadocia e Dottore della Chiesa: fu il secolo d’oro di San Gregorio di Nazianzeno e di San Giovanni Crisostomo, grandi assertori del pensiero cristiano ed insieme esponenti unici del gusto classico che in essi rivisse nella purezza della lingua e nell’eleganza dello stile. Se nel centro Nord-Occidentale c’era analfabetismo e rovina a causa delle invasioni barbariche, in Otranto la fiaccola del sapere fu custodita gelosamente e trasmessa nei secoli successivi. A compiere quest’opera furono i monasteri greci che popolavano la Terra d’Otranto. Le chiese, disseminate nel territorio, costituirono punti d’incontro tra pensiero ortodosso e latino, fra liturgia greca e latina, così come anche tra gli uomini dell’una e dell’altra sponda del canale. L’iconoclastia diffusasi, intanto, oltremare a partire dal 725 per iniziativa di Leone III d’Isaurico al trono di Bisanzio e la conseguente persecuzione che andò perpetrandosi verso la popolazione greca ad essa ribellatasi, produsse fenomeni di culto nascosto. In tale scenario, per lungo tempo Otranto ed il Monastero di San Nicola di Casole assunsero una posizione chiave nella strategia della cultura. La Cripta di Santa Maria degli Angeli viene citata in riferimento al prestito di uno “sticherarion” (un libro ove sono raccolti gli “stichera”, cioè i canti usati specialmente negli uffici liturgici vespertini o nelle lodi del mattino secondo i giorni di ciascun mese), fatto dal monastero di San Nicola al capo della comunità di Poggiardo, il monaco MIchele, come riportato nel prezioso manoscritto Tipikùn di Casole, in carattere minuto, dal 14° abate di Casole, Biagio (1342 – 1363): “Papas Michele di Pugiardo ha restituito lo sticherarion monologii”. Questa attività dei monaci, invece che attirare la benevolenza delle autorità, scatenò Pontefici e re di Napoli che si misero d’accordo per sopprimere quanto di greco esisteva in Italia: Gregorio I estese la gerarchia latina: i conti di Lecce e Nardò soppressero i calogerati basiliani donandoli ai Benedettini. Nel 1583, il sinodo diocesano presieduto dall’arcivescovo di Otranto Pietro Corderos, sancì l’abbandono del rito greco nel Salento, il quale, tuttavia, rimase in uso fino al XVII secolo. Assertori dell’universalismo culturale e cristiano, i monaci italo-greci lasciarono opere pittoriche, artistiche e di pensiero, che dimostrano al mondo come la dicotomia tra Oriente e Occidente non esista.